Aisthànomai Le Recensioni

DIONISIO CAPUANO

(BLOW UP magazine)

MASSIMO MARCHINI

(Rockerilla)

ALESSIO ARENA(DREXKODE.NET)

DELIO SALOTTOLO (LABAUT)

ALESSANDRO MICHELUCCI (CORSICA MAGAZINE)

MASSIMO SALARI (ROCK IMPRESSIONS)

ROBERTO FILIPPOZZI (DARKROOM. MAGAZINE)

ALESSANDRO NESPOLI (THE HOLY HOUR)

SIMONE BROGLIA

(MESCALINA)

TONY ARAMINI

(RITUAL-MAGAZINE)

GIUSEPPE PANENERO

(STRUMENTI MUSICALI)

BLOW UP MAGAZINE 119, APRILE 2008.

Romina Daniele ha vinto il prestigioso Premio Demetrio Stratos e, ad ascoltare questo suo nuovo lavoro, evidenzia non solo doti vocali, potenza e versatilità, ma un notevole talento nell'interpretare il senso della musica, tutto ciò non disgiunto da virtù compositive. "Aisthànomai" può essere letto/ascoltato come un lavoro teorico, come un'antologia programmatica, come un corpo poetico-sonoro integrale. Nel primo caso è indispensabile calarsi nei testi del booklet dove si approfondiscono temi e profili dell' 'estetica'. "Voce-Materia-Natura. Elettronica-Suono-Tecnica. Lingua-Testo-Concetto. Ecco i tre territori in cui si dirama e attua Aisthànomai... E sui quali si situa la mia legge di non condizione conoscitiva: come fine espressivo deliberatamente perseguito." Sotto il secondo aspetto si manifestano affascinanti soluzioni interpretative/esecutive. La trasfigurazione della forma canzone attraverso cambiamenti organici della voce (Materia), l'assimilazione vocalità-elettronica (Echo, Vero Remake II), la sperimentazione drammatica sul testo-voce (Dix ans, vingt ans), la sound poetry (Vero Remake I), la canzone-teatro totalizzante (Poesis I). E c'è da sbizzarrirsi nel gioco delle ascendenze: Galàs, La Barbara, Meredith Monk, Stratos, la Julie Tippett sperimentale ecc. Infine, quasi a dispetto della volontà teoretica della musicista, (che può zavorrare il godimento della fruizione assoluta), "Aisthànomai" è soprattutto incontro sensoriale (se non sensuale) con il corpo sonante della donna, nell'urgenza (nell'impatto) della riunificazione: "Io non godo di tutta la felicità, ricorda, essa è due parti: ed entrambe hanno il vuoto." Sembra Emily Dickinson. Ma occorre avere il coraggio di addentrarsi nel labirinto della voce. [Dionisio Capuano]

ROCKERILLA 334, GIUGNO 2008.

Sono rimasto inchiodato alla poltrona per un intero pomeriggio riascoltando questo disco bellissimo e coraggioso.

Romina è una giovane musicista napoletana che ha dedicato la sua vita allo studio della voce. Dedizione che le ha portato già riconoscimenti importanti quali la vincita del premio dedicato a Demetrio Stratos.

"The Voice Is The Original Instrument", così intitolava una sua opera la grande Joan La Barbara, "al principio era il Verbo", disse prima ancora qualcun altro.

Su testi ricchi di colta ricerca estetica (Aisthànomai, in greco significa 'capire, percepire') la declinazione della voce, del suono, della foné è qui resa con tale dedizione, purezza da togliere letteralmente il fiato.

Come se la plastica della voce venisse qui modellata a nuova estetica.

Se in alcuni punti la ricerca di Romina somiglia molto da vicino a quella compiuta da Diamanda Galàs qualche anno prima, come nella introduzione dell'album, invece la ricerca semantica e musicale che l'artista napoletana qui compie è personale e in alcuni punti persino struggente.

Voce e elettronica a tentare di definire un significante condivisibile per questo singolare progetto estetico, etimologico che dipinge equazioni tra sensazione, percezione, arte, rappresentazione del dolore.

Un'esperienza che Romina riesce a condividere con l'ascoltatore evocando landscapes dark, mi si perdoni il termine improprio, riportando alla memoria gli scritti di Bataille sui medesimi concetti espansi. Una voce unica nel panorama italiano. [Massimo Marchini]

DREXKODE.NET.

Partiamo dalla fine, quando un pò ci si ritrova sull'orlo della scogliera a rotear le braccia, si può scivolare o provare a volare, combattuti e attratti da un canto delle sirene, ma il magnete mentale è vagante. La complessità della proposta di Romina Daniele si basa sulla sua raffinata ricerca vocale, un utilizzo della voce come strumento similare a una Diamanda Galas, ma c'è di più. Un reticolo, una spiccata multidisciplinarietà che tocca il teatro, la filosofia, l'estetica e un uso dell'elettronica improntato all'emozione cinematografica. Aisthànomai (dal greco "percezione") con i corposi testi e il suo taglio poliedrico è di fatto un'opera di teatro d'avanguardia. La Daniele si posiziona in confronto con l'ascoltatore stimolandolo, un suono che cattura e incide brividi sulla schiena con spasmi vocali tra ambientazioni tetramente lucenti, ritrovandosi immersi in una spirale testo-voce-musica che obbliga a fare i conti con noi stessi. Retrò e post sono due manichini presi, sbattuti e innestati, ma sarebbe fuorviante avventurarsi in descrizioni troppo soggettive, quello che è sicuro è che dall'incontro si esce spettinati dopo una dura lotta. Tecnicamente notevole è la padronanza vocale, nei timbri e nella gestualità espressiva che si immagina già visivamente dal solo suono, di pezzi versatili come "Sguardo (take2)" e la sua vecchietta un pò da Oz, un pò da sottoscala praghese, o "Poesis I", quest'ultima a braccio libero mentre sullo sfondo la scenografia è quasi un lynchiano Badalamenti. Musicalmente vige un'atmofsera alla G.P'Orridge, ma è anche la risultanza di un dark-ambient virato verso un'essenza non chiara e scrutabile da occhi ancora non pronti alla luce, un palcoscenico che può avere anche nei nostrani Teatro Satanico alcuni punti di contatto, mentre la voce personalissima e mutante fa propri infiniti stati d'animo. Aisthànomai è un'ottima opera di regia, sia bozzettistica che drammaturgicamente densa, richiedente all'ascoltatore di accettare la sfida e di non uscirne finché sarà finita. Sussurri e grida. [Alessio Arena]

LABAUT, MARZO 2008.

Alcune (impossibili) annotazioni su 

“Aisthànomai, il dramma della coscienza” (ultimo disco di Romina Daniele[di Delio Salottolo]

Ovviamente (in questo momento) non ne voglio capire di musica o per meglio dire: ovviamente non mi interessa in questo momento cercare spiegazioni teoretico-tecniche o avanzare ipotesi fonologiche (o fono(il)logiche?). Che senso avrebbe afferrare l’inafferrabile (ora) quando si ascolta? 

L’inafferrabile sonorità fastidiosa e cupa che risiede nell’assenza totale di referenti, che si staglia su sfondo nero pece tutto-includente e che affonda nell’esasperazione di un calcolo infinitesimale di porzioni di caos lanciate (senza pudore) verso l’ascoltatore, tra stridii (non d’inferno, questione  assente!) e profondità baritonali che non fanno sprofondare ma trascinano in una invaginazione orizzontale sul dorso dell’essere-nulla, e poi ancora le parole che non dicono e la voce che non è vociare di parole, ma insieme voci e parole non sono in primo momento significato ma (im)puri significanti, ricerca ossessiva della modalità dell’Uno attraverso l’esplosione della voce che, perduta ogni razionalità, vaga riflettendosi in frammenti dell’(in)appartenenza. 

Oltre l’uno (del senso, dell’appartenenza, della voce, della parola, della sensazione) e il molteplice (dei sensi escludentesi, delle (in)appartenenze, dei suoni (ir)responsabili, delle (in)significazioni, delle corde emozionali scuoiate dai suoni) verrebbe da dire!: ma non deve interessarci: bisogna affrontare il pericolo vero.

Queste sono (soltanto) le prime riflessioni durante il primo ascolto (testimonianza seria e diretta di scrittura (semi)automatica e di inconsci produttivi guidati dai suoni). La scrittura-prigione ci lasci liberi almeno in opportuni momenti.

Più lucidamente, ora.

Ed allora, perché fare musica così? O, forse, la referenza sarebbe: perché ascoltare musica così?

Cerchiamo di razionalizzare e di violentare (seppur il meno possibile) questo progetto: qui è il grado zero della sperimentazione, ovvero sperimentazione che sperimenta su stessa e non su un sostrato da (e)sperimentare, è musica fuori dal tempo ma che non appartiene ad alcuna aurea a-temporale, è teatro della voce che recita la sua (im)possibile esasperazione vocalica, è oltreumana visione, è immediatamente intuizione di spazi inesistenti;  La voce è utilizzata come uno strumento senza scopi il cui delirio rischia di far esplodere nell’incubo le più belle giornate o di rendere esaltante anche il minimo stridio frettoloso della nostra (mancanza di) anima; non è musica semplicemente, è una prova o una sfida lanciata all’ascoltatore la cui posta in gioco è l’annichilimento temporaneo di ogni normale costituzione di sé.

E’ musica-esperienza trans-individuale, è pura funzione, è la reale distruzione della possibilità di ogni individualismo universalizzante. E’ semplice rete di interconnessioni e così:

Voce-materia-natura. Elettronica-suono-tecnica. Lingua-testo-concetto. Ecco i tre territori in cui si dirama e attua Aisthànomai (termine emblematico di percezione e conoscenza) e sui quali si pone e nei quali si situa la mia legge di non condizione conoscitiva: come fine espressivo deliberatamente perseguito.”  (dal booklet)

In summa. Perché perdersi questa allucinata porzione di caos?

[Nota a piè pagina nel testo originale]. Romina Daniele è un prodotto partenopeo, sviluppatosi fino all’età della ragione in queste terre. Poi Milano. E’ vincitrice del Premio Internazionale Demetrio Stratos per la ricerca vocale e la sperimentazione musicale nel 2005 e una cara amica. Il dramma della coscienza è il suo ed il nostro. O l’assenza di entrambi.

[Descrizione contenuta a fronte della Rivista] "Labaut è una rivista autoprodotta attiva sul territorio napoletano dal settembre 2004. Il termine Labaut è sigla di Laboratorio Autonomo di Letteratura. Laboratorio in quanto continua sperimentazione e ricerca sul linguaggio nelle sue esperienze in prosa e in versi; ricerca che non ama soffermarsi su canoni definitivi ma continua incessantemente a ripensarsi e a riformularsi. Autonomo in quanto non legato a finanziamenti provenienti da nessuna istituzione (università, comune, associazioni), ma autoprodotto e distribuito gratuitamente. Si crede, infatti, che la cultura debba essere, alla stregua dei beni primari, accessibile a tutti al di là del mero mercato economico. L’attività di Labaut è un intenso e continuo laboratorio che abbraccia, oltre la configurazione cartacea, esperienze artistiche parallele: cortometraggi, reading, musica."

ROCK IMPRESSIONS

Con il precedente “Diffrazioni Sonore” abbiamo conosciuto un artista unica nel suo genere, Romina Daniele. E’ una sperimentatrice della voce ed un amante attiva dell’arte in generale, anche di quella pittorica e fotografica. Il lavoro di “creazione” che abbiamo potuto apprezzare in “Diffrazioni Sonore” è stato prettamente vocale, senza alcuna aggiunta di strumentazioni. Coraggioso ed intraprendente, con una dose artistica davvero elevata, la stessa che ritroviamo oggi nel più appetibile “Aisthànomai”.
“Comprensione”, questo è il significato di questa parola greca, l’artista prende possesso della conoscenza dell’arte e trasmette a noi, con i suoi 17 pezzi, la vocazione che fa riferimento alla scienza filosofica applicata all’arte. Ci trasmette le sensazioni che prova, nei testi a tratti di poetica natura, il dramma della coscienza e ciò che accade all’uomo.
Questa volta non è solo mera applicazione vocale, ma nelle tracce si aggirano strumenti elettronici sul tappeto dei quali, la cantante esprime tutto il suo essere. La voce si spinge oltre, aldilà della logica strutturale della stessa, alla quale siamo sempre stati abituati negli ascolti musicali. Teatralità, intensità, bizzarria e coraggio che si incrociano in maniera “reticolare”. Come ama definire l’artista “Aisthànomai comporta Diffrazioni sonore ed introduce diffrazioni testuali (laddove il testo comunemente inteso è l’emblema dell’onniscienza che voglio scardinare) e diffrazioni digitali….”. Per quello che concerne sempre il testo, ci sono citazioni a Barthes e si analizza la consapevolezza di conoscere il proprio io ed il mondo che ci circonda. Ancora una volta mi ritrovo a parlare, seppur brevemente, di una persona che vive l’arte a 360°, senza limiti e con tutta se stessa.
Non sono comuni questi artisti, vivono nel sottosuolo del Prog (se vogliamo trovargli per forza una ubicazione….) e credono ciecamente nell’arte, quella pura ed incontaminata e la respirano.
Ovviamente non venderanno dischi a quantità industriale, tuttavia sono degni di nota e meritano rispetto, perché l’arte ha bisogno di “progredire”, ha bisogno di ricerca, ha necessità di esplodere in tutta la propria magniloquenza. Romina Daniele brilla di luce propria, è fuorviante, ma se la si ascolta senza barriere mentali, allora la si potrà apprezzare in tutta la sua sfolgorante bellezza. Con “Aisthànomai” conoscerete nuovi luoghi psichici , ma attenzione, questo viaggio è consigliato solamente ai più curiosi di voi e di ampie vedute, agli altri sottolineo il fatto che qui non ci sono schitarrate o quant’altro rappresenti il Rock. Dove vorrà arrivare? [Massimo Salari]
[Link originale].

CORSICA MAGAZINE. OTTOBRE 2008.

Il primo strumento è stata la voce. Poi sono venuti gli altri: dalle percussioni alla chitarra, dai fiati alle tastiere. Di conseguenza la voce ha assunto un ruolo secondario, e in certi casi è stata addirittura accantonata.

Comunque non sono mancati artisti che hanno esplorato le possibilità della voce per restituirle il ruolo di strumento originario.

Basti pensare a Joan La Barbara, che nel 1976 incise un LP intitolato proprio Voice is the Original Instrument (Wizard Records),

oppure a Cathy Berberian, a Diamanda Galas, a Meredith Monk. Tutte donne: sarà un caso, ma anche la proposta più recente in questo campo viene da una donna.

Stiamo parlando di Romina Daniele (www.rominadaniele.com), una giovane cantante nata a Napoli nel 1980 e residente a Milano da qualche anno. L'artista napoletana (nessuna parentela con Pino Daniele) rappresenta una delle novità più interessanti e autonome del panorama musicale italiano. Il fatto che utilizzi la voce come uno strumento la proietta in un territorio che pochi hanno voluto esplorare.

Qualcuno potrebbe essere tentato di avvicinarla ad Alan Sorrenti, che nei primi anni Settanta cercò di lavorare sulla voce con risultati interessanti. Ma sarebbe un errore: Romina Daniele si muove in un territorio diverso da quello del cantautore anglonapoletano, che pur usando la voce come uno strumento restò sostanzialmente legato alla logica della canzone.

L’esperienza di Romina Daniele richiama invece quella di Demetrio Stratos, un geniale cantante di origine greca che visse in Italia una lunga e feconda stagione artistica, partendo dal rock pe approdare alla sperimentazione più radicale.

Non è quindi un caso se l'artista napoletana ha vinto la seconda edizione del PremioDemetrio Stratos (2007), istituito per ricordare. Il grande artista ellenico.

Poco dopo è uscito Aisthànomai (autoproduzione, 2008), che ha stimolato una notevole attenzione da parte della stampa specializzata. Ma già due anni prima, con Diffrazioni sonore (autoproduzione, 2005), la. musicista aveva posato il primo mattone del suo edificio sonoro e concettuale. Aisthanomai continua quella strada chiarendone i contenuti e gli obiettivi. Non è soltanto un disco, ma un lavoro complesso nel quale suono, teoria e poesia si intrecciano felicemente dando vita a un risultato coerente e compiuto. Alla particolarità estrema dell'approccio vocale si accompagnano lunghi testi: la ricerca vocale si sposa con quella poetica.

Il disco non cade "nelle false acque dell'anticonformismo", come si legge nel volumetto che accompagna il CD. Romina Daniele rifiuta di essere catalogata come un'artista d'avanguardia, perché questa parola le pare vuota ed abusata. La sua ricerca è diretta alle origini del suono, non verso un ipotetico. Futuro. Nel volumetto accluso al disco spicca un lungo testo dove Romina ha raccolto numerose considerazioni filosofiche e musicali. In genere, quando ci si trova davanti a un esordiente notevole, si usa dire che "è nata una stella". Ma la cantante di Aischânomai è lontana anni luce dalla logica commerciale. Nel suo caso dobbiamo dire che "è nata una voce".

[Alessandro Michelucci]

THE HOLY HOUR

E' un lieto ritorno quello di Romina Daniele, artista poliedrica e versatile, che già dal suo primo lavoro Diffrazioni Sonore, mi aveva particolarmente impressionato per i suoi esperimenti nell'ambito fonico. Definire Romina? Impossibile. E' voce. Mi sembrerebbe riduttivo etichettare il suo lavoro con la semplice e generica attribuzione di "sperimentale" o "avanguardia". Oggi si etichetta e si formalizza tutto in maniera esagerata.

Come il suo illustre predecessore, Demetrio Stratos, Romina gioca con la voce, la fa librare libera dalle ipoteche stilistiche e metriche, creando un prodotto puro, non d'avanguardia. Come c'insegnò a suo tempo Stratos, giochi del genere sono tipici dei bambini nella fase di lallazione e quindi, cosa c'è di sperimentale in qualcosa che già realizziamo nei primi anni di vita? Certo è sperimentale se confrontato a tutto il misto e rimisto dei grossi giri musicali, ma in generale è qualcosa che facciamo, che abbiamo fatto e che potremmo fare tutti.

Staccare il lavoro di Romina dalla generica definizione di "avantgarde" è già il primo passo per poter godere adeguatamente ed adeguatamente giudicare questo lavoro che, come avevo avuto modo di dire nella precedente recensione di Diffrazioni Sonore, non è per tutti. Romina stavolta ha fatto le cose in grande, con un book finemente curato sia da un punto di vista artistico che paratestuale. Trentaquattro pagine di cui quattordici inerenti, in forma di esplicito microsaggio con traduzione in inglese a fronte, l'idea di questo Aisthànomai: Il Dramma della coscienza.

Data la complessità dell'opera, articolata in diciassette tracce, sarà utile fare un discorso d'insieme. Bisbigli, flautofonie, voci contorte e strozzate, escursioni linguistiche, il tutto sovrapposto a testi di tortuosa poeticità, sottoposti all'autorità della voce. Essi infatti funzionano come pretesti per attivare il meccanismo dell'escursione fonica, pur mantenendo inalterato il loro valore poetico. Come nota personale, mi è molto piaciuta la precisa disposizione simmetrica dei testi all'interno del book. Le differenze fra l'italiano e l'inglese si annullano in virtù della "Voce". Entrambe, grazie al gioco fonico si possono finalmente amalgamare per ritornare all'unità dell'inizio dei tempi. Tutto questo lascia supporre che Romina non abbia lasciato nulla di intentato all'interno anche del corredo grafico del cd.

Va da sé, che lo studio condotto da Romina è volto a percepire e a far percepire all'ascoltatore sensazioni dimenticate ed ancestrali e a far risuonare cavità dimenticate da tempo, che l'umanità deride per paura e vergogna delle sue oscure radici. I giochi fonici di Romina sono espressioni di una probabile lingua "aurorale", citando Walter Benjamin, una lingua, che sopravvive in forma di radiazione primordiale in tutti i ceppi linguistici, incatenata dal suo uso standard, dalla grammatica, dalla fonetica e dalle varie regole. Sarebbe impossibile, nonchè inutile oggi cercare di destrutturare la lingua della comunicazione per liberare quella entità pura. L'uomo non è ancora pronto per tutto questo. E' qualcosa del passato che potrebbe trasformarsi in un probabile futuro, ma bisogna fare i conti con la monodimensionalità e la monocromia umana, che nutrendosi di infinite pulsioni definitorie s'accontenta di dare un nome alle varie forme in cui la realtà apparentemente si mostra. La Daniele esce fuori dalle targhette, dai generi, dalle categorie e dalle definizioni libresche gettandosi in un'esperienza antica oramai dimenticata, ritenuta gioco da bambini.

Si tratta di un gioco intelligente, ma oggi pensare è troppo stancante e lo vediamo ogni giorno cosa origina il sonno del pensiero. Stupidità, pressapochismo e inutilità. Senza contare, in ultima analisi, che Romina non crea un lavoro fine a se stesso e autoreferenziale; è questo il bello. Riesce a lasciare volutamente degli spazi bianchi permettendo all'ascoltare di dare la propria personale pennellata. La percezione, anche nella sua singolarità può e deve essere condivisa e la voce, molto probabilmente, è il suo veicolo privilegiato. [Alessandro Nespoli]

DARKROOM MAGAZINE.

Questa ancor poco nota ma grande artista campana, nata a Napoli e residente a Milano dal 2005, rappresenta una delle migliori scoperte dell'underground avanguardistico nazionale, e proprio nel 2005 si è aggiudicata il prestigioso Premio Internazionale Demetrio Stratos (riconoscimento - vinto fra gli altri anche da Diamanda Galás e da Meredith Monk - intitolato ad un artista, Stratos appunto, che tanto ha dato al mondo della sperimentazione vocale sia come solista che con gli Area) grazie al disco di debutto "Diffrazioni Sonore", anch'esso autoprodotto. Ma è con questo secondo lavoro sulla lunga distanza che Romina consegue una maturità sorprendente, che le consente la messa in atto di un concept il cui titolo, "Il Dramma Della Coscienza", unito al significato stesso del termine greco "Aisthànomai" (ossia percepire, comprendere), sottolinea come all'interno dell'opera convivano una forte esplorazione ed un'approfondita ricerca che non si fermano al lato squisitamente tecnico, ma che coadiuvano in maniera determinante un'accurata analisi interiore da parte dell'artista partenopea. Una coltre elettronica così leggera da apparire spesso impalpabile, eppure così efficace nel supportare gli umori dei testi in un contesto spesso plumbeo e privo di luce, fa da sfondo al vero e proprio strumento-cardine, ossia la voce stessa di Romina, vera protagonista nelle 17 tracce che compongono l'album (inclusa una sorprendente cover di Miles Davis, "Nuit Sur Les Champs-Élysées") in quella che è senza dubbio anche un'esplorazione delle potenzialità vocali in ambito avanguardistico/oscuro. Oscuro, sì, perché è così che suona questo secondo lavoro (peraltro molto ben prodotto a tutti i livelli) della Daniele, lungo viaggio introspettivo alla ricerca di risposte che forse si annidano fra le pieghe della percezione, o che forse sono destinate a variare sempre e comunque, la cui rivelazione pare l'unico modo per dar pace ad una coscienza profondamente inquieta. Le grandissime capacità vocali di Romina sono senza dubbio destinate all'inevitabile paragone con la Galás, e non è da escludere che qualcuno parli della Daniele come della 'Diamanda Galás italiana', ma sebbene molte soluzioni vocali ed anche talune trame strumentali possano in effetti richiamare certi lavori della Diva greco/americana, noi siamo altresì certi del fatto che l'artista campana sia in possesso, oltre che di qualità enormemente superiori alla media, di una propria personalità che emerge chiaramente tanto dalle strutture delle composizioni quanto - in particolar modo - da certe intuizioni mirabilmente esplicate, che ci svelano una versatilità in grado tanto di terrorizzare quanto di ammaliare. Non scordiamoci neppure di quale tipo di paragone si stia facendo e/o si farà: essere infatti paragonata alla Galás deve rappresentare di certo un gran complimento per Romina (che senza dubbio ha subito e assorbito il fascino oscuro delle produzioni firmate da Diamanda), e a conti fatti è lecito credere che non esista così tanta gente là fuori in grado di emulare, eventualmente anche solo a livello di mera clonazione (ma non è certo il caso della Daniele), le gesta di una delle voci più incredibili della storia del canto contemporaneo (e non solo). Merita una menzione anche il ricco booklet, a dir poco ottimo e completo di tutte le informazioni necessarie (note e testi in italiano inclusi) per comprendere meglio l'entità della ricerca della Nostra. Un lavoro di enorme onestà interiore ed esteriore assolutamente da non perdere per gli appassionati dell'avanguardismo oscuro di qualità, da scoprire, comprendere ed elaborare come si deve fare con l'Arte che ha realmente qualcosa di importante da esprimere, in attesa di ulteriori e meritati riconoscimenti ai quali è destinato l'indiscutibile talento di Romina. [Roberto Alessandro Filippozzi] [Link Originale]

STRUMENTI MUSICALI, N. 319, MAGGIO 2008.

Aisthànomai in greco "percepire", "comprendere". Ed è alla percezione e alla comprensione della voce, come strumento sonoro, delle incredibili sfumature di cui lo strumento umano riesce a essere capace che questo lavoro è volto. Romina Daniele ha vinto, nel 2005, il premio Demetrio Stratos ed è proprio al lavoro solista del compianto cantante degli Area che ci si trova a pensare, ascoltando le 17 tracce di questo disco. La Voce come strumento principe, solo assecondato dalle sonorità elettroniche che, spesso, più che accompagnare sottolineano. Un disco denso, interessante, ricco di sfumature e di suggestioni multicolori, ma non certo per tutti. [Giuseppe Panenero]

MESCALINA.IT

Esce a due anni di distanza dal Premio Stratos, ricevuto come giovane proposta, “Aisthanomai”, secondo disco della vocalist Romina Daniele.
Di sicuro non si tratta di un disco di facile e agile ascolto, anzi, è uno di quegli album a cui siamo sempre meno abituati, che ci mettono di fronte un progetto compiuto di sperimentazione. Proprio questo aspetto strutturale più che concettuale è quello che in primo luogo colpisce l’ascoltatore.
Il corposo libretto con l’esposizione dettagliata, a livello estetico-teoretico, dell’opera e delle scelte artistiche denota una preparazione fatta di studio che senza dubbio diventa uno dei tratti maggiormente caratterizzanti dell’opera di Romina Daniele.
Il precedente disco dal titolo “Diffrazioni Sonore”, esposizione abbastanza limpida di una delle maggiori caratteristiche dell’onda sonora, era concentrato sulla sperimentazione vocale, togliendo spazio da un lato alla possibilità di un progetto musicale più strutturato e dall’altro alla possibilità di espressione verbale.
In questo “Aisthanomai”, uscito tre anni dopo “Diffrazioni Sonore, si nota l’approfondimento di un lavoro in studio sviluppato in diversi ambiti artistici che vanno dal teatro, di cui la Daniele fa propria un’impostazione recitativa, all’estetica, di cui esamina una visione deleuziana dell’arte, fino alla poesia.
Oltre a questi aspetti, che di sicuro sono un contributo importante nella struttura del disco, rimangono fondamentali la componente musicale e quella vocale.
La prima si basa sull’elettronica: concentrandosi sul suono, viene portato avanti un discorso legato alle frequenze, molto spesso sulle onde sonore a bassa frequenza, che giocano un ruolo importante a livello percettivo.
Il tema portante è però la voce, cardine di tutto il disco: non uno strumento, non un mezzo per creare sinonimi, la voce è la presenza stessa dell’artista (come tiene a sottolineare l’autrice).
Se la voce è la presenza fisica, allora nel disco viene presentata una coscienza scissa, divisa e ricomposta, separata per frequenze, in grado di dilatarsi, stendersi, appianarsi e acuirsi in pochissimo spazio. Una coscienza/voce che si spezza e, tramite elaborazione digitale viene, ripresa e unita a parti sonore non vocali.
Romina Daniele ci presenta un lavoro di ricerca che a fine ascolto lascia soddisfatti per la possibilità sempre meno frequente di avere un disco con alle spalle un progetto di sperimentazione: una ricerca sul suono, sulle dinamiche, sul timbro vocale, sul teatro, sul testo poetico, sull’estetica, sul corpo. [Simone Broglia] [Link Originale].

RITUAL MAGAZINE, N. 35, LUGLIO/AGOSTO 2008.

La proposta di Romina Daniele s'inserisce nel solco della sperimentazione vocale estrema, impossibile quindi esimersi dal citare due riferimenti essenziali come Demetrio Stratos e Diamanda Galàs. La voce come strumento, dunque: decine di tracce vocali assemblate e sovrapposte per creare un sinistro collage dai connotati armonici inusuali. Audace la scelta di rileggere in quest'ottica due estratti dalla colonna sonora di "Ascenseur pour l'échafaud", anch'essa, come buona parte del disco, segno di versatilità e buona padronanza dei mezzi, nonostante un'età relativamente giovane. Accompagnato da un elaborato concept fin troppo pretenzioso per l'ascoltatore profano, "Aisthànomai" ha comunque le carte in regola per affascinare quella frangia di pubblico che ama le proposte anticonvenzionali o dalle atmosfere inquietanti. [Tony Aramini]

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Diffrazioni Sonore

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Primo Album di Sheen

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AA.VV. Compilation