Aisthànomai Linea Teorica

Aisthànomai è il termine greco che sta per "percepire, comprendere". È l'etimologia della parola "estetica" con cui si fa riferimento alla scienza filosofica applicata all’arte.

Dunque, Aisthànomai, percezione e comprensione: sensazione e conoscenza: arte [1].

Il che si può esprimere tramite la proporzione:

la percezione sta alla sensazione come la conoscenza sta all’arte.

La parola “dramma” (dal greco drâma –atos: azione) ha più di un significato:

a. Vicenda o situazione triste e dolorosa (è noto l’utilizzo dell’espressione in contesto teatrale).

b. Svolgersi di un’azione - significato etimologico.

Per “dramma” s'intende dunque, con precisione, l’insieme delle vicende drammatiche che conseguono ad un’azione. Così, nella realtà, come a teatro.

In considerazione della suddetta accezione di Aisthànomai, l’azione drammatica a cui si fa riferimento è quella dell’uomo in rapporto alla Conoscenza e all’arte, delle quali egli ha una coscienza traslata dalla mondanità, una falsa coscienza: il dramma della coscienza, il teatro delle vicende umane [2].

I.

La mia produzione fin qui si ascrive a Diffrazioni Sonore, non solo session di registrazione, ma cd emblematico del mio lavoro di creazione e di elaborazione (post-produzione), del modo in cui lavoro, dei significati che assumono per me la teoria e la pratica su concetti quali “sistema”, “struttura”, “composizione”, “arte”. È chiaro che assunti così pregnanti di senso non valgono un solo progetto, una sola sessione di registrazione, una sola seduta di elaborazione digitale o una settimana di sedute. Si tratta bensì di postulati che si pongono a fondamento di una vita e di un’opera, in rapporto ai quali, quelli di molti illustri uomini nella storia si pongono come contributi, e per il cui approfondimento non basterebbero dieci vite, in questo mondo. Enunciati dunque che ritornano in ogni mia creazione, come in ogni creazione, nella ricerca loro di una forma in cui porsi e da agguantare. Parlavo infatti, per Diffrazioni, di “costruzione”, “sensazione”, loro coestensione [3]; e il discorso è tutt’altro che esaurito.

All’improvvisazione in quanto esperienza empirica [4] così come andrebbe sempre intesa (mi sembra di urlare in Diffrazioni),  seguono ora altri concetti ed esperienze; anch’essi si situano “nel mio operare nell’arte che riguarda non un disco, ma una vita”. 

Io ho voluto porre la voce al di qua di ogni schema noto musicale e non. E in questo ho voluto porre l’arte in una condizione simile. Segue, per tanto, a Diffrazioni Sonore, il disco di oggi.

Qui le cose che risaltano all’orecchio, alla sensibilità e alla percezione tutta, sono due: l’elettronica e il testo. Elementi “altri” rispetto la sola voce la quale in precedenza ho voluto liberare tanto dalla musica quanto dall’intellegibilità. Sono un gambero? Torno forse indietro? I riferimenti di Stratos, Artaud, della recente Monk dove si pongono ordunque? [5]  

C’è da fare una precisazione importante.

Senza Diffrazioni Sonore oggi non potrei applicare, nel modo in cui lo faccio, alle mie creazioni vocali le elaborazioni digitali di suoni non vocali (ovvero usare l’elettronica), né il testo (mio, tra l’altro, e di natura poetica [6]).

Mi spiego meglio.

Nel campo dell’elettronica quanto in quello del testo musicale e/o poetico, con riferimento preciso ai relativi settori nell’attualità, io ancora differisco, operando una frattura evidente, in un senso o nell’altro: in tutta linea con la mia vocalità. 

Ma solo dopo aver liberato la vocalità (sinonimo di capacità d’azione [7]) io posso fare questo: liberare, nel mio lavoro, le concezioni di musica e di testo applicato alla musica.

Quanto alla natura dei miei testi devo ricordare che essa, nella natura stessa della mia intera opera (a tratti testuale, vocale, musicale, teatrale) non vuole essere settoriale, né lineare, ma reticolare [8].

Ritorna in tal senso l’assunto diffrazioniano: l’idea post-strutturalista di “testo aperto”, di cui là indicavo la filosofia di Deleuze [9]. Il post-strutturalismo interessa infatti la cultura francese attraverso il pensiero di alcune personalità chiave; pensiero che ha origine nell’idea centrale della forza umana produttiva in quanto tale. Quello che io chiamo l’agire, il lavorare nelle piaghe sterili del linguaggio comune in cui dominano i concetti di “centro”, “struttura”, “campo”; a favore di un attivismo “non comune” che volge invece a “de-centramento”, “proliferazione”, “dislocamento”.

Il linguaggio e la testualità comune devono subire anch’essi un rovesciamento. 

In tal senso il fondamento dell’operazione che attuo è in Derrida [10]: a partire dal quale il testo non è un sistema definito, ma una "circolarità aperta continuamente ri-definibile e non riconducibile a un’unità" [11]. È una catena di rinvii che si presenta attraverso la differenza: negando ogni razionalità onnicomprensiva [12].

Aisthànomai comporta diffrazioni sonore, e introduce diffrazioni testuali (laddove il testo comunemente inteso è l’emblema dell’onniscenza che voglio scardinare) e diffrazioni digitali (poichè il digitale, come tutte le conquiste tecnologiche, a mio dire, è ancora troppo raramente messo a servizio della Coscienza umana, invece messo quasi sempre a quello del profitto commerciale). [13]

Per concludere sulla testualità, mi permetto di citare Barthes:

«È necessario liberare il lettore dalla sua condizione di minorità (così anche l’ascoltatore), una condizione prodotta da una forma di testualità rigida che esclude il fruitore dal “piacere del testo” e lo condanna rispetto a un universo di significato predeterminato.» [14]

Sulla Coscienza, di cui annuncio il dramma, cito dai miei appunti sulla voce: 

Coscienza: dal latino, “essere consapevole”: nel senso di consapevolezza di sé e del mondo esterno in quanto funzione psichica in cui si riassume ogni esperienza conoscitiva del soggetto. Quindi: essere consapevoli ovvero agire e conoscere nei confronti di sé e del mondo. 

Nel rispetto dell’etimologia, dunque, la parola “coscienza” non consiste, come nel senso comune, nel conformismo indiscriminato (privo di dialettica) al sistema di valori preminente: questo sistema non coincide in sé con l’attuazione della conoscenza empirica e psichica, dunque non la svolge e professa; coincide bensì con un’accettazione indiscriminata a priori di meccanismi sociali secolari, pur marci. La consapevolezza di un edificio morale che tende a disfarsi (i valori della società occidentale) e con cui eccepire, per contrastare, e rifiutare: coscienza. 

Ne consegue: nella cultura attuale di medio consumo, non è in atto una questione etica pura: un processo morale puro volto alla conoscenza delle possibilità dei rapporti che l’uomo instaura con l’interno e l’esterno di sé [15]. Bensì, all’evidenza, c’è una legalità sterile che investe il discorso morale di finto animismo e accettazione del già dato; e c’è, in maniera complementare, il lavoro di psicologi e psichiatri [16].

II.

Voce-materia-natura. Elettronica-suono-tecnica. Lingua-testo-concetto [17].

Ecco i tre territori in cui si dirama e attua Aisthànomai (termine emblematico di percezione e conoscenza) e sui quali si pone e nei quali si situa la mia legge di non condizione conoscitiva: come fine espressivo deliberatamente perseguito. 

La musica? Un codice. Della sua nomenclatura, variamente alterata, nella considerazione storica della logica morfologica, non interessa qui, se non in rapporto al valore segnico di ogni suono e alla relazione tra i suoni, in vocalità come in musica.

Quando si parla di segni, in estetica e in semantica, in virtù di coscienza storica, le categorie della popular music fanno ridere, è evidente; in particolare, quella della classificazione dei generi appare una questione mera e superflua (utile solo per indicizzare e dare un'idea della storia agli incolti) a cui si può far fronte a fini conoscitivi reali con un’indifferenziazione dei sotto-codici e delle sotto-categorie:

 “Indifferenziazione filosofica delle grammatiche” [18].

Dall’interpretazione di questa definizione ricavo il senso che mi sta a cuore:

Indifferenziazione dei codici linguistici di natura filosofica.

Indifferenziazione dei codici linguistici a partire dalla ricerca conoscitiva.

Non-individuabilità dei codici (la grammatica linguistica è il sistema, emblema di ogni sistema) all’interno della ricerca conoscitiva.

I codici in vigore, le categorie, io non li abolisco a priori, dalla mia ricerca della conoscenza, di cui la mia musica.

Ma facendo saltare la corrispondenza tra caratteristiche e categorie, di qui la non individuabilità a cui segue l’indifferenziazione (in termini deleuziani oltre che pasoliniani), ciò che risulta, all’atto dell’operare nella ricerca, sono le piaghe e le differenze; che scaturiscono dal vuoto di senso che le categorie in rapporto tra loro, alla luce di una coscienza storica, determinano.

Le cifre del linguaggio dominante si contano nella corrispondenza ai crediti. Il linguaggio dominante è sterile, in questo. Per tirarsi fuori dalla mortalità morale e intellettuale che ne deriva, occorre lavorare nelle piaghe del linguaggio.

All’interno del discorso morfologico vocale i codici in vigore sono tutte le forme di utilizzo della voce, dal parlato agli stili di canto propri di ogni accademia (conservativa o moderna), da cui deriva una concezione della voce stessa che corrisponde a capziosità di campo quali: musica, teatro, speaking, ecc. Una concezione settoriale e chiusa: in cui non c’è coscienza del molteplice e del reticolare, né quindi dei significati dell’esplorazione e della Conoscenza. 

III.

Non si è mai sguazzati nelle false acque dell’anticonformismo, così come in questa epoca. Dove la modernità è oggetto di ricerca, e parlando di post-modernismo e contemporaneità il Rifiuto [19] è divenuto una questione meramente estetica.

E io che ancora credo che Rifiutare sia un atto! E che un atto sia un’azione concreta che si impone nel suo porsi e che crea una frattura. Rifiutare: tutto il non necessario. Ovvero tutto ciò che assomigli a uno sputo, piuttosto che a un lago.

Note a piè pagina.

[1] I “pue punti” che seguono “due punti” non sono un errore in sintassi, ma generalmente si preferisce omettere la tal figura, poichè ritenuta indice di una costruzione non armoniosa. Similmente una blue note è un “errore” nella concezione musicale classica occidentale. [Blue notes: note corrispondenti, nel blues e nel jazz, a uno dei gradi III, V e VII della scala diatonica; suonate o cantate in maniera leggermente calante, abbassate di meno di un semitono.] Dal punto di vista strettamente linguistico, ad apportare “licenze poetiche” tanto vistose con il supporto di una teoria integerrima è Pier Paolo Pasolini (Cfr. P. P. Pasolini, Empirismo Eretico, Milano, Garzanti, 1972.)

[2] La mancata coscienza di cosa Conoscenza ed Arte siano si lega alla mancata consapevolezza, vigente nella sistematizzazione classica e classicista del pensiero, dei presupposti e della sostanza della comunicazione estetica intersoggettiva (Cfr. note 9, 13).

[3] Cfr. R. Daniele, Diffrazioni Sonore, Preliminare Natura Mentale (Cover-inside), compact-disc, Milano, Autoproduzione, 2005.

[4] Esperienza empirica, ovvero pura e diretta; antecedente a qualsivoglia sistema compositivo o logica strutturale. La precisazione vale in considerazione del fatto che l’improvvisazione può essere anche definita “non empirica”, nel caso in cui la si attui in corrispondenza di un ordine compositivo predefinito; ad esempio, all’interno di determinate misure di un brano una cui sezione sia specificatamente destinata all’improvvisazione (cosa tipica del jazz); oppure, quando si stabiliscono a priori il tempo o la tonalità dell’evento di natura improvvisativa, o più in generale si tiene ancorata la mente, nell’improvvisare, a disposizioni morfologiche musicali tipiche in relazione alle quali l’esperienza dell’improvvisazione si pone sempre come variante compositiva, e non come evento reale, in quanto azione del tutto imprevista. Laddove: improvvisazione, dal latino improvi¯su(m), non preveduto.

[5] Per un’introduzione teorica all’opera di Demetrio Stratos: J. El Haouli, Demetrio Stratos, alla ricerca della voce-musica, Milano, Auditorium, 1999; a quella di Artaud la bibliografia è vasta, si consiglia: J. Derrida, Antonin Artaud. Disegni e ritratti, Abscondita, 2004 - J. Derrida, Antonin Artaud. Forsennare il soggettile, SE, 2005; a quella attuale della Monk: www.meredithmonk.org.

[6] La differenza tra “testo per brano musicale” e “poesia” è la seguente: nel primo caso il testo dipende dal brano musicale, nel senso che la sua esistenza non è autonoma; nel secondo, viceversa, non c’è un rapporto di dipendenza con la musicalità (in quanto componente poetica congenita) ma di compenetrazione dialettica ed espressiva, in riferimento a contenuti e rimandi discorsivi; posto che il testo svolga la sua funzione poeticamente, ovvero diramandosi in un territorio emblematicamente autonomo: la “parola poetica” è  il linguaggio di «estraneità, differenza, solitudine, incapacità di radicarsi nelle cose» (A. Trione, L’ordine necessario, Recco, Il nuovo Melangolo, 2001, p. 32; ivi si rimanda per un’introduzione alla complessa problematica di natura estetica sulla Poiesis).

[7] “La voce è condizionata, sin dalla nascita di ogni uomo, da una sorta di controllo culturalmente imposto legato al suo utilizzo intellegibile, dalla circolarità della ripetizione dello stesso prodotto, cui appartiene il soggetto catalogato e modellato”. Alla base della catalogazione, della classificazione e della categorizzazione c’è il significato e l’applicazione delle regole. La regola, in quanto formula che prescriva ciò che si deve fare in un caso determinato o in una particolare attività culturale, si connette alla significazione più arcaica di ordine costante che si riscontra nello svolgimento di una certa serie di fatti. L’ordine è: disposizione d'ogni cosa nel luogo che le compete secondo un determinato criterio. Dunque il regolare è l’individuabile secondo un criterio, da cui l’ordine, poichè stabilito a priori per il funzionamento di questo o di quello. La sterilità della voce, dell’azione umana e della coscienza si riconducono alla catalogazione culturale e al rattrappimento intellettuale da cui la società è dominata. (Cfr. J. El Haouli, Demetrio Stratos, cit.) Far agire la voce significa dare ad essa più importanza che al raziocinio, che alla volontà di usarla in un modo oppure in un altro, che alla volontà di plasmarla, di addomesticarla. Va precisato inoltre che: le voci più sperimentali oggi continuano ad essere quelle che funzionano come uno strumento; si sottolinea però che non c’è ormai niente di sperimentale in questo né di avanguardistico. C’è ancora sudore di dottrina in questo, un servizio che si rende “ad un’estetica armoniosa e in nessun modo anarchica” (Ivi, p. 74). 

[8] La sostanza “reticolare” della cultura contemporanea si fonda sulla concezione dell’opera d’arte in quanto Testo, con attenzione particolare ai collegamenti e alle relazioni che riguardano la testualità, i ruoli e le posizioni di autore e fruitore. In ciò si compie ‹‹l’ultimo sviluppo dello strutturalismo classico›› (F. D’Agostini, Analitici e Continentali. Guida alla filosofia degli ultimi trent’anni, Milano, Raffaello Cortina Editore, 1997, p. 405). «Tale orientamento teorico e metodologico risale, con diramazioni successive, all’opera del linguista svizzero Ferdinand De Saussurre, che considera la lingua come un insieme strutturato di elementi interagenti ed interdipendenti; successivamente la definizione è stata adottata anche per indicare gli indirizzi di pensiero che hanno esteso alle scienze umane i principi dello strutturalismo linguistico, per cui i fenomeni culturali sono visti come insiemi organici tra i cui componenti vigono relazioni costanti e sistematiche: l’antropologia (con Claude Levi-Strauss), la critica letteraria (con Roland Barthes), la psicanalisi (con Jacques Lacan), l’esegesi marxista (con Louis Althusser), la filosofia della cultura (con Michel Foucault) e la neo-linguistica (con Ronald Jakobson).» [M. Pesare, Eziologia e genealogia del postmodernismo filosofico, 3. Il Post-strutturalismo e il Decostruzionismo, in Mondodomani, Rivista telematica di filosofia, http://mondodomani.org - Cfr. G. Fornero e F. Restaino, N. Abbagnano, Storia della filosofia (volume decimo), la filosofia contemporanea, tomo primo, pp. 314-483.] L’opera non è più intesa centricamente, fatta ruotare intorno un contenuto narrattivo (o ad una melodia lineare, nel caso della musica), ma è intesa in maniera molteplice, in funzione della molteplicità formale che può costituire il Testo in rapporto ad altri Testi nella Storia, con riferimento alle varie epoche stilistiche. Il principio della “decostruzione” analitica deriva dal riconoscimento della “molteplicità strutturale” congenita e trasversale del linguaggio (Cfr. G. Deleuze, Différence et répétition, Paris, Presses Universitaires de France, 1968; Tr. It: Differenza e ripetizione, Milano, Raffaello Cortina, 1997). 

[9] R. Daniele, Diffrazioni Sonore, Preliminare Natura Mentale, cit.

[10] Cfr. J. Derrida, L'écriture e la différence, Le Seuil, Paris 1967, [Tr. it.: di G.Pozzi, La scrittura e la differenza, Einaudi, Torino, 1971]; G. Deleuze, Logique du sens, Minuit, Paris 1969 [Tr. it.: Logica del senso, Feltrinelli, Milano, 1975]; G. Deleuze, Différence et répétition, cit.

[11] M. Pesare, Eziologia e genealogia del postmodernismo filosofico, cit. Piuttosto che sulla "circolarità" il discorso verte sulla "reticolarità", e con riferimento al più vasto sistema della conoscenza umana, in Deleuze, attraverso i testi ivi citati; in particolare in Différence et répétition, la cui premessa è online suhttp://erewhon.ticonuno.it/arch/rivi/campus/animbel.htm.

[12] Il valore Testuale è quello della “ricerca linguistica” propriamente detta, la quale a partire dalla seconda metà dell’Ottocento prende il sopravvento sui significati meramenti rappresentativi nell’opera d’arte. Essa infatti permette di distinguere l’arte esteticamente moderna da quella solo “cronologicamente” contemporanea (Cfr. C. Baudelaire, Saggi sull’arte, Milano, Mondadori, 1999). Si precisa inoltre che il concetto di Testualità si lega a quello di “comunicazione estetica intersoggetiva”: la comunicazione estetica è il discorso tra soggetto (autore) e soggetto (fruitore) che avviene per il tramite dell’opera in quanto Testo, ovvero insieme di enunciati, non necessariamente coerente, con finalità comunicative. Questo premesso che: il linguaggio non è un mezzo naturale e trasparente attraverso il quale il soggetto ricevente coglie una “verità”, una “realtà” solida e unificata; diversamente il ricevente non sarebbe un “soggetto in processo”: colui che compie un atto, termine del processo comunicativo. (Cfr. R. Barthes, Le plaisir du texte, Paris, Seuil, 1972; tr. it.:  Il piacere del testo, Torino, Einaudi, 1973).

[13] Il significato di tecnologia, oggi, si lega fortemente a quello di tecnica, da cui infatti deriva il termine. In principio la tecnologia non era certo quella telematica; tecnologia: comp. di tecno- e -logia, sul modello del gr. technologhía 'trattato relativo a un'arte'. Per approfondire e cogliere il senso degli aspetti scientifici dell’elaborazione informatica ed elettronica, compiutamente, occorre svincolarsi dalla concezione mondana e superficiale per cui tutto è dato; e volgersi alle premesse storiche del fenomeno tecnologico in sé. È in tal senso che quelli di tecnica e di tecnologia sono concetti gemelli. Nel linguaggio comune la tecnica, poichè legata alla non comprensione analitica della tecnologia, si qualifica, in tutti i campi culturali, come un codice a cui rispondere, una falsa necessità, un dovere: obbligo a cui si è tenuti per soddisfare a una norma. L’obbedienza formale e l’interiorizzazione del dovere sono, infatti, gli aspetti tipici della sottomissione ad un codice. Occorre tuttavia precisare che: solo dall’operare, dall’azione in corso, emerge la tecnica, la quale deriva il termine dal greco “techne” e dal successivo vocabolo latino “ars”, il cui significato è “tecnica”, qualcosa che ha a che fare prima di tutto con una manualità dal sapore artigianale, quindi con la coscienza di poter fare, di essere capaci ad operare. In tal senso la tecnica “ci sottrae alla costrizione”, alle condizioni che piegherebbero la nostra mente e la nostra potenzialità agente alla stregua dell’appiattimento intellettuale generalizzato. Quella che si vuol apprendere e non si sa far sorgere esiste solo in virtù dell’indottrinamento. Viceversa la produzione, il far-avvenire in presenza qualcosa che prima non era, l’operare, il creare, il far sorgere esige uno sforzo di sdegno nei confronti della provocazione scaturente da un’imposizione travestita da tecnica. Infine: «La tecnica è cosciente, volontaria, mutevole, personale e creativa. Può essere appresa e migliorata. L’uomo è diventato il creatore della sua tattica di vita. Essa costituisce la sua grandezza e la sua sventura. Noi chiamiamo civiltà la forma interna di questa vita creativa, creiamo una civiltà e patiamo una civiltà.» (O. Spengler, L’uomo e la tecnica, Parma 1932, p.47; in A. Trione, L’ordine necessario, cit., pp.32-33).

[14] R. Barthes, S/Z, Seul, Paris, 1964 [Tr. it.: S/Z, Torino, Einaudi, 1970].

[15] Cfr. R. Daniele, Aisthànomai, il dramma della coscienza, traccia 15. All’esterno di Me, compact-disc, in corso di pubblicazione, Milano, 2007. 

[16] Cfr. Ivi, traccia 16. Vero (remake I).

[17] Sull’elettronica e il testo si è detto. Si precisa su “voce-materia-natura”. La dottrina del canto, fondandosi sul falso di un concetto reale: ovvero che la voce è un dono di natura a tutti gli effetti, è falsamente naturale: sorretta da una regola, una tecnica e un’estetica capziose. Questo concetto deviato non è che un esempio di una deviazione costante, viva in tutti i campi, che deriva da un’economia di pensiero non funzionale e non costruttiva ma che conduce al rattrappimento mentale e pratico. La voce è certamente naturale nel senso in cui l’organismo umano lo è. Ciò che non è certo è che taluni potenzialmente abbiano doti più di altri. Ciò che si chiama dote in realtà è una spiccata propensione per ciò che si chiama bellezza e piacevolezza nel senso comune. Ma la naturalità della voce è tutt’altra cosa: anzittutto non si fonda sul bello e sul piacevole che sono questioni morali e di gusto, ma sull’origine e la materialità, le possibilità e la potenzialità della sua presenza/esistenza. Il concetto fuorviante del bello si lega, poi, alle regole di produzione umana e non alla produzione in natura, la cui sostanza si camuffa oltremodo in tutti i suoi aspetti “poco piacevoli” (= la cui riflessione di fatto minerebbe il superficiale corso di una vita media).

[18] Cfr. P. P. Pasolini, Empirismo Eretico, cit., pp. 9-28.

[19] «Nella fenomenologia dei rifiuti si trova la qualità e la peculiarità del fare poetico» (A. Trione, L’ordine necessario, cit., pp. 117-118): «la volontà di rifiutare ciò che non obbedisce alle leggi che ci si è imposti (rivelante la consapevolezza dell’operare artistico), finisce per esercitare una tale costrizione sulla persona che le opere riviste e corrette diverse volte e realizzate senza tener in nessun conto la fatica e il tempo impiegato, si fanno sempre più rare, e che nonostante la densità acquisita, si accusa di sterilità l’autore troppo difficile.» (P. Valéry, Oeuvres I, p. 655; anche in: A. Trione, L’ordine necessario, cit., p. 118; corsivo mio). In tal senso il mio lavoro musicale e vocale si fonda senz’altro sul rifiuto dell’inconcepibilità dei disprezzatori, ignari delle premesse a fondamento del mio lavoro stesso.

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